Charles Finney ed il Pragmatismo Evangelico
Charles Finney nacque nel 1792 nel Connecticut, ma trascorse la maggior parte della sua giovinezza nella Contea "Oneida", New York. I suoi genitori non erano credenti e Finney crebbe con una scarsa conoscenza della dottrina cristiana. Secondo quanto poteva ricordare, il Vangelo non era né predicato né testimoniato in quella parte dello Stato del New York (che lui definiva "un deserto"), sebbene sia documentata l’esistenza di almeno un’importante chiesa Evangelica in città.
La religione di cui Finney aveva memoria nella sua fanciullezza era, disse in seguito, "di un genere che certamente non era stato concepito per attirare la mia attenzione". Così descrisse l’unico predicatore che ricordava di aver visto da giovane:
Finney definì il discorso del pastore come "un’arida discussione dottrinale", poi aggiunse: «Quel sermone fu davvero uno dei migliori che io abbia mai ascoltato, ma chiunque può capire quanto una predicazione condotta in quel modo potesse istruire o interessare un ragazzo che non sapeva nulla di religione, né se ne interessava».
Finney decise di studiare Legge ed intraprese l’apprendistato nella città di Adams, New York, dove, per la prima volta, iniziò a partecipare alle attività di una chiesa. Il locale pastore Presbiteriano, George W. Gale, un giovane di un paio d’anni più anziano di Finney, dimostrò interesse verso quello studente in Legge. Gale fece di Finney il direttore del coro della chiesa e prese a fargli visita nel suo ufficio legale per discutere con lui di argomenti spirituali.
Allora, Finney cominciò ad annotare sui suoi libri di testo di Legge dei riferimenti biblici. In seguito, acquistò una Bibbia ed iniziò a studiarla. Tuttavia, racconta Finney, la predicazione continuava ad essere una pietra d’inciampo: «[Gale] sembrava dare per scontato che i suoi ascoltatori fossero dei teologi e che, quindi, conoscessero bene tutte le dottrine fondamentali del Vangelo. Devo dire che ero perplesso più che edificato dalla sua predicazione».
Durante le loro discussioni all’ufficio legale, Finney sottoponeva con insistenza delle questioni dottrinali al giovane pastore: «Cosa intendeva con ravvedimento? Era un semplice sentimento di dolore per il peccato? Era uno stato mentale di completa passività, oppure anche la volontà ne era coinvolta? Se si trattava di un cambiamento di mente, in che senso lo era?» e così via. Dalla natura delle domande di Finney si ha l’impressione che la predicazione di Gale, tutto sommato, non fosse poi così terribilmente tediosa, come in seguito l’avrebbe dipinta Finney. L’evidenza dimostra che il ministero del Pastore Gale stava avendo l’effetto desiderato su Finney.
La drammatica conversione di Finney
Infatti, mentre Finney si trovava ad Adams, sperimentò una conversione subitanea e radicale. Paradossalmente, nonostante la conversione di Finney sia stata drammatica, travolgente e rivoluzionaria, egli non giunse mai a comprendere che la conversione è interamente opera di Dio! Dal modo in cui Finney narra tale esperienza, appare chiaro che egli ritenesse che il fattore determinante a condurlo alla salvezza fu la decisione della sua volontà: «Una domenica sera nell’autunno del 1821 decisi che avrei affrontato la questione della mia salvezza una volta per sempre e che, se fosse stato possibile, mi sarei riconciliato con Dio». Evidentemente molto convinto, Finney si recò in un bosco, dove promise: «… Avrei dato il mio cuore a Dio o, altrimenti, sarei morto in quel tentativo».
Finney si convertì lì, nel bosco. All’inizio sembrava una normale conversione. Finney stesso non era sicuro di ciò che era accaduto, tranne per il fatto che si era arreso al Signore. La sua mente era "straordinariamente calma e serena". L’opprimente convinzione di peccato che aveva sperimentato in precedenza era sparita del tutto. Egli, addirittura, era giunto a domandarsi se avesse "bestemmiato contro lo Spirito Santo". Ma più tardi, quella sera, nel suo ufficio legale, Finney visse un’esperienza che descrisse come "un potente battesimo" dello Spirito Santo: «Lo Spirito Santo discese su di me in modo tale che sembrava attraversarmi, corpo ed anima. Potevo avvertire una sensazione, come una scossa elettrica, che mi attraversava ripetutamente».
Anche in seguito a tutto questo, tuttavia, lo stato mentale di Finney era talmente confuso che, anni dopo, scrisse: «Nonostante il battesimo che avevo ricevuto... me ne andai a letto senza essere sicuro di aver fatto pace con Dio».
I dubbi di Finney, però, scomparvero improvvisamente e misticamente il mattino seguente e, più tardi, quello stesso giorno, egli decise che Dio voleva fare di lui un predicatore e che doveva iniziare immediatamente: «Dopo aver ricevuto quei battesimi di Spirito ero piuttosto desideroso di predicare il Vangelo. Anzi, mi resi conto di non voler fare nient’altro! Non avevo più alcun desiderio d’intraprendere la carriera legale... Ero completamente preso da Gesù e dalla sua salvezza… il mondo mi sembrava davvero una cosa di poco conto».
Chiamato a predicare?Sono convinto che fu una decisione estremamente infelice, per Finney, quella d’intraprendere un ministero di predicazione immediatamente dopo la sua conversione. Non avendo alle spalle alcun solido retroterra cristiano, era quasi del tutto ignorante sulle dottrine della Scrittura. Finney, tuttavia, aveva una mente brillante ed era sempre riuscito a farsi valere nei dibattiti, anche in quelli teologici e perfino con un pastore preparato come lo era George Gale. La sua istruzione in campo legale aveva abituato Finney a ragionare secondo logica, ma lo aveva anche riempito di molte presupposizioni errate. La sua concezione della giustizia, della colpa, della rettitudine, della trasgressione, del perdono, della responsabilità, della sovranità e di tante altre dottrine, derivava dai suoi studi legali, non dalla Scrittura.
Ovunque Finney predicasse, la gente reagiva con entusiasmo. Evidenti segni di risveglio sembravano seguire immediatamente la sua scia. La sua influenza si diffondeva di pari passo con la sua reputazione. Finney sfidò con coraggio la dottrina tradizionale e difese con persuasione il suo nuovo ed alquanto bizzarro sistema dottrinale. Finney cominciò anche a predicare ovunque potesse radunare un uditorio e non ci mise molto ad avere un forte impatto anche sulle chiese già costituite: «Questo giovane, pastore da soli due anni, credente da soli quattro, privo di qualsiasi tradizione o istruzione cristiana alle spalle, senza alcuna esperienza nel campo della predicazione tranne quella di missionario di frontiera, tutto d’un tratto, prese ad assalire le chiese. Egli era stravagante di natura nelle sue affermazioni, di contegno imperioso ed arrogante e puntava più a trafiggere i sentimenti della gente, che non a persuaderli con richiami amorevoli».
Occorre notare che, quando Finney entrò in scena, molte chiese avevano deviato dall’ortodossia in favore di un freddo ipercalvinismo. L’ipercalvinismo è quella deviazione dottrinale secondo cui l’invito del Vangelo deve essere rivolto esclusivamente agli eletti. Gli ipercalvinisti credono che il Vangelo non dovrebbe essere predicato indiscriminatamente e che la salvezza non dovrebbe essere offerta a tutti, gratuitamente. In sostanza, respingono l’idea stessa di evangelizzazione! Molte chiese, al tempo di Finney, erano dominate da tendenze ipercalviniste. Lo stesso pastore di Finney, George Gale, ebbe probabilmente inclinazioni ipercalviniste. Ecco come Finney descrisse la predicazione di Gale: «Ogni volta che predicava, sembrava non aspettarsi mai che qualcuno si convertisse, né che s’impegnasse a questo fine».
Finney ne trasse la conclusione che le dottrine della corruzione dell’uomo e della sovranità di Dio professate dal suo pastore, fossero incompatibili con un sincero sforzo nell’evangelizzazione. Egli scrisse:
L’avversione di Finney per l’ortodossia
Finney non faceva alcuna distinzione tra il vero Calvinismo e l’ipercalvinismo, di conseguenza si sbarazzò della dottrina ortodossa e rigettò in blocco il Calvinismo. Studiò la dottrina solo in modo superficiale ed inventò un singolare sistema teologico che poteva soddisfare la sua logica. Applicò ad ogni dottrina biblica le norme legali tipiche dell’America del XIX secolo: «Non ho letto nulla sul tema [dell’espiazione] tranne la mia Bibbia e ciò che ho scoperto sull’argomento l’ho interpretato nello stesso modo in cui ero abituato a spiegare un qualsiasi testo di Legge».
Egli giunse alla conclusione che la giustizia di Dio esigeva che la sua grazia fosse estesa a tutti, allo stesso modo. Argomentava che Dio non sarebbe stato giusto ad imputare a tutta l’umanità la colpa della trasgressione di Adamo. A suo parere, un Dio giusto non avrebbe mai condannato qualcuno perché era un peccatore per natura:
In questo modo Finney scartava il chiaro insegnamento della Scrittura (Romani 5:16-19), attribuendo il primato alla ragione umana.
Ancor peggio, Finney negava che un Dio santo avrebbe imputato a Cristo il peccato dell’uomo o al credente la giustizia di Cristo. Finney ne concludeva che queste dottrine, pur essendo chiaramente insegnate nel terzo, quarto e quinto capitolo della lettera ai Romani, non erano altro che "finzione teologica". In sostanza, egli negava il cuore stesso della teologia Evangelica!
Purtroppo, il successo inizialmente conseguito da Finney nella predicazione, nascose le gravi pecche della sua teologia. Finney stesso ammise che, quando la sua chiesa lo esaminò per autorizzarlo a predicare, il presbiterio "evitò di farmi delle domande che avrebbero portato naturalmente il mio punto di vista a cozzare con il loro". Evidentemente essi erano intimiditi dalla crescente popolarità di Finney come "revivalista". Ciononostante, uno degli esaminatori chiese a Finney se accettasse la Confessione di fede di Westminster. Finney ammise in seguito di non aver mai nemmeno letto la Confessione! Tuttavia, egli rispose al presbiterio in un modo che implicava da parte sua l’accettazione di tale Confessione: «Risposi che, per quanto ne capissi, la accettavo nella sua sostanza dottrinale». In seguito, quando Finney lesse la Confessione, rimase sconvolto nello scoprire che contraddiceva gran parte di ciò in cui credeva: «Appena seppi quali fossero i chiari insegnamenti della Confessione di fede... non esitai, ogni volta che se ne presentò l’occasione, a dichiarare il mio dissenso in proposito».
Nel rifiutare le tendenze ipercalviniste, Finney cadde pesantemente all’estremo opposto facendo queste sconvolgenti e sconsiderate affermazioni: «Non c’è nulla nella religione che vada oltre i poteri ordinari della natura». «Un risveglio non è un miracolo né dipende, in alcun senso, da un miracolo. È il puro e semplice risultato filosofico di un uso convenevole che noi facciamo dei mezzi stabiliti da Dio, come per ogni altro effetto prodotto dall’uso di certi mezzi... Un risveglio è anche il risultato dell’uso dei mezzi appropriati, proprio come una messe è la conseguenza dell’uso di mezzi capaci di produrla».
Il fine giustifica i mezzi?
Finney fu il primo influente evangelista a suggerire che il fine giustifica i mezzi: «Il successo di una qualsiasi iniziativa adottata per promuovere un risveglio, dimostra la sua saggezza... Quando la benedizione segue evidentemente l’introduzione dell’iniziativa stessa, abbiamo la prova inequivocabile che quell’iniziativa è saggia. È blasfemo affermare che una simile iniziativa possa fare più male che bene! Dio sa quello che fa! Il suo intento è fare la maggior quantità di bene possibile».
L’influenza esercitata da Finney sulle chiese Evangeliche in America fu molto profonda. Fu il primo, nelle riunioni evangelistiche, a chiedere ai convertiti di "venire avanti" per testimoniare che avevano "accettato" Cristo. Fu lui il primo ad applicare il termine "revival" alle riunioni di evangelizzazione. Fu Finney che prese a prolungare le riunioni dopo il sermone al fine di "incoraggiare la fede" di coloro che cercavano salvezza. Egli impresse, inoltre, il suo marchio sullo stile di predicazione americano, incoraggiando i giovani predicatori ad essere estemporanei, aneddotici, più colloquiali e meno dottrinali di quanto non fossero stati i predicatori tradizionali. Tutte queste idee, che come è evidente costituiscono la norma del ministero contemporaneo, facevano parte delle cosiddette "nuove misure" introdotte da Finney.
Certamente non tutte le innovazioni di Finney furono sbagliate. Ad esempio, esortò i predicatori ad essere diretti, chiari, persuasivi, zelanti e decisi nei loro sermoni. Consigliò loro di non parlare dei peccatori usando la terza persona, ma la seconda, onde colpire in modo più diretto le coscienze. Mise in rilievo la necessità di una conversione immediata, in contrasto con la tendenza prevalente ai suoi tempi di consigliare ai peccatori di attendere che Dio desse loro il ravvedimento e la fede. Seguendo l’esempio della Scrittura e della predicazione di Cristo stesso, Finney chiamava i peccatori a ravvedersi e a credere, non a restarsene passivi nella speranza che Dio li avrebbe convertiti.
Il ministero di Finney si concentrò soprattutto nella zona orientale dello Stato di New York. Già durante la vita di Finney, quella regione era nota come il burned-over district (Distretto bruciato), perché diverse ondate di fervore religioso sembravano aver spento ogni reale interesse per il Vangelo. Durante la sua giovinezza, pare che Finney fosse sempre in grado di ravvivare la fiamma, almeno per un’altra volta!
In breve tempo, tuttavia, l’entusiasmo ed il fervore del supposto "risveglio" lasciò il posto ad una miscredenza profonda e ad un diffuso agnosticismo. Il "distretto bruciato" fu arso ancora di più e s’indurì più che mai! Infatti, dopo questi eventi quella regione non ha mai più conosciuto una stagione di risveglio.
Uno dei collaboratori di Finney gli scrisse nel 1834:
Scrive Benjamin Warfield:
«Nemmeno dopo una generazione», nota Warfield, «questi bambini che si erano scottati volevano avere più niente a che fare con il fuoco».
Un finale sconcertante
Finney iniziò a scoraggiarsi quando i suoi metodi fallirono. Accettò l’incarico di pastore della chiesa Congregazionalista "Broadway Tabernacle" di New York City e, più tardi, la presidenza dell’Oberlin College in Ohio. Impiegò le sue energie per sviluppare le sue dottrine perfezioniste e per l’insegnamento al College.
In seguito, tirando le somme della sua carriera, Finney scrisse:
Avendo compreso che la sua metodologia aveva fallito, Finney, da bravo pragmatista, ne dedusse che i suoi insegnamenti perfezionisti fossero la vera chiave per un ministero di successo. Tornando indietro con la mente, pensò che avrebbe avuto successo se avesse predicato un robusto messaggio perfezionista basato sul timore. Tuttavia, se fosse vissuto abbastanza a lungo, avrebbe scoperto che anche il suo perfezionismo si sarebbe rivelato un disastro spirituale, ancor peggiore dell’evangelizzazione superficiale.
Un contemporaneo di Finney disse:
Così, l’influenza più duratura di Finney, purtroppo, non consiste in moltitudini di anime salvate o di peccatori raggiunti dal Vangelo! Gli effetti del suo ministero, a quanto pare, furono quasi del tutto superficiali e, spesso, svanirono nel momento stesso in cui Finney lasciava la città. Il vero lascito di Finney è il disastroso impatto che egli ebbe sulla teologia Evangelica e sull’evangelizzazione! La chiesa, nella nostra generazione, è ancora agitata dal lievito introdotto da Finney ed il moderno "Pragmatismo Evangelico" di cui abbiamo parlato ne è la prova.